Ho in tasca l’abbonamento per la Ternana. Facile, direte voi, te l’hanno praticamente regalato. Però per prenderlo ho dovuto fare un paio di file, prenotazioni e soprattutto un atto di fede. Perché un atto di fede? Perché io ringrazio il presidente Bandecchi d’avermi fatto pagare solo 8 euro l’ingresso a tutte le partite della stagione, ma non posso certo dimenticare le nefandezze a livello sportivo e gestionale delle ultime due annate disgraziate. Che sono costate di sicuro più care a lui che a me, per carità. Ma per dargli fiducia ancora, ci vuole, appunto, un atto di fede. Perfino un po’ sconsiderata.
Però c’è questa novità: 12mila abbonati non li abbiamo mai avuti, neanche in serie A. Che vuol dire? Forse niente, semplicemente un calcolo da furbacchioni: visto che l’abbonamento non ci costa nulla o quasi, intanto mettiamocelo in tasca, poi staremo a vedere come vanno le cose.
Andare o non andare allo stadio, in fondo, poco cambia per chi ci ha investito dai 5 ai 12 euro, praticamente un aperitivo. L’ipotesi più realistica è dunque quella di una stagione così così, in uno stadio che raccoglierà di media si e no un terzo degli abbonati.
Da vecchio tifoso consentitemi però un ragionamento un po’ più eccentrico.
Quando andavo allo stadio, da ragazzino, la prima cosa che m’interessava non era la formazione, ma calcolare quanta gente sarebbe venuta quel giorno al Liberati. Mi sedevo al mio posto e aspettavo con ansia che lo stadio si riempisse. C’era, per me, una soglia minima di pubblico presente, sotto la quale la giornata allo stadio non la giudicavo divertente. Perché poi, a conti fatti, forse il tempo che passavo a guardare il pubblico in curva, ad ascoltare e cantare i cori, a conversare con il vicino, a provare a imprecare più forte degli altri, ad abbracciare chiunque dopo un gol, era più di quello che dedicavo a guardare le azioni di gioco.
Insomma, voglio dire, allo stadio ci andavo soprattutto per partecipare a una festa domenicale, coloratissima, insieme alla mia gente, in una specie di rito collettivo.
Ora, dopo molto tempo, la mia gente, i tifosi rossoverdi, i credenti in questa fede troppo spesso bestemmiata, hanno deciso, per calcolo o per un residuo d’amore chissà, di rispondere presenti, almeno virtualmente.
L’auspicio, il sogno è che i dodicimila abbonati s’innamorino di se stessi.
Cioè, vorrei che succedesse a tutti e dodicimila quel che succedeva a me da ragazzino: che almeno per questa stagione si abbia voglia di tornare allo stadio – anche se le Fere non andranno benissimo (ma in fondo naturalmente spero il contrario!) – magari solo per il gusto di ritrovarci lì, per guardarci tra noi, tra noi tifosi, per ammirare il Liberati pieno, per i suoi colori, per il suo casino, indipendentemente dal risultato, per dimostrare e dimostrarci che i più forti siamo noi, che partecipiamo a questa festa, che abbiamo voglia di stare insieme e di divertirci, fosse pure solo per salutare l’amico che non si vedeva più da tanto tempo nella “piazza”, o nell’arena del Liberati, di nuovo affollata, colorata, ribollente, che c’insegna – e c’ha sempre insegnato – che persino in questa città non ci sono solo tanti io, ma pure un noi. Almeno la domenica (anche se di domenica ormai si gioca raramente). Almeno allo stadio, la nostra piazza più bella.